Un indovino non mi ha detto

indovino
In Asia bisognerebbe sempre consultare un indovino prima di muoversi. Avrei saputo che, con Nettuno in opposizione al sole, la rivoluzione delle camicie rosse in Thailandia era destinata al fallimento. Avrei evitato un precipitoso ritorno a Bangkok da uno sperduto villaggio di minatori di Mindanao, Filippine.
Il cattivo auspicio per i seguaci dell’ex premier Thaksin è segnalato sulla prima pagina di The Nation, autorevole quotidiano thai in lingua inglese, del 15 aprile.
Oggi la capitale è semideserta. Non per lo stato d’emergenza, ma per il ponte di Songkran, la festa dell’acqua, ufficialmente allungato sino a venerdì.
Forse solo gli indovini attorno al Wat Pho, il tempio del Buddha Reclinato, sanno che cosa accadrà nei prossimi giorni. Secondo molti il primo ministro Abhisit Vejjajiva sta ritrovando la sua anima thai, che sembrava offuscata da un’educazione troppo inglese: ha recuperato il suo luak yen, il sangue freddo, e ha ristabilito il rapporto Yi-soong-ti-tam, fondamentale distinzione gerarchica che impone al superiore di dimostrarsi tale. Così, dopo aver “perso la faccia” annullando il vertice dell’Asean in seguito alle manifestazioni dei rossi, ha saldato il suo debito morale ristabilendo l’ordine a Bangkok. Il che potrebbe permettergli di mediare tra i suoi oppositori e i suoi stessi sostenitori. Secondo altri, però, è ostaggio della nobiltà e dell’esercito, cui deve la sua elezione, e non potrà attuare alcun cambiamento significativo.
Per comprendere davvero che cosa accadrà, ma anche che cosa è accaduto e sta accadendo bisognerebbe consultare gli indovini sparsi nel sud-est asiatico come i venditori di zuppa. Perché gli avvenimenti thailandesi riguardano tutta l’area. Il problema reale, infatti, è il modello politico da seguire. Un’alternativa tra “democrazia controllata” (che in Thailandia è rappresentata dai gialli) oppure “democrazia senza controllo” (incarnata dai rossi). Da un punto di vista occidentale è un falso problema, poiché la democrazia è solo una, definita dalla nostra tradizione culturale. Il che impedisce di comprendere la nuova Asia. Ha creato e continua a creare una serie di equivoci: ha portato a condannare Thaksin come corrotto multimiliardario populista e poi a sostenerlo, sia pure con riluttanza, come avversario dell’oligarchia.
Più che consultare un indovino sarebbe opportuno leggere “Il tramonto dell’Occidente” di Oswald Spengler. Per comprendere che la Storia non procede in modo lineare, meccanico, ma è un continuo trasformarsi e adattarsi alle situazioni.
|