Cicero pro domo mea

«Libertas, quae non in eo est ut iusto utamur domino, sed ut nullo» scrisse Marco Tullio Cicerone. “La libertà, che non consiste nell'avere un padrone giusto, ma nel non averne alcuno”. La citazione è tratta dal De re publica (II, 43). Scritto tra il 55 a.C. e il 51 a.C - ossia duemila e settanta anni fa - è un trattato di filosofia politica sul modello de La Repubblica di Platone, là dove appare un altro formidabile aforisma: «Felice la nazione i cui filosofi sono re e i cui re sono filosofi”.
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Confesso un peccato grave: avevo dimenticato Cicerone, Platone e altri giganti della mia cultura occidentale, italiana. Lo ammetto: ho ripensato a Cicerone leggendo un romanzo che lo ha per protagonista. Non un libro fenomenale, ma mi è apparso come un caso di sincronicità. Le “coincidenze significative”, come sono chiamate le manifestazioni di questo fenomeno, erano tante: nella Roma di Cicerone e nella Bangkok di oggi (dove un Cicerone non c’è e nemmeno un Cesare, ma molti Catilina) si ritrovano le discussioni sulla libertà e sulle sue limitazioni, colpi di stato, patrizi e plebei, indovini e presagi, tribuni del popolo e candidati al consolato.
Ma non sono queste le coincidenze più significative. Sulla Thailandia, alla fine, si sta già dicendo troppo o troppo poco. Quel caso di sincronicità mi ha indotto a una nuova riflessione sui diversi modi di percepire cultura, civiltà, progresso.
Quando torno in Italia, come parlando con italiani in viaggio o residenti all’estero, sento ripetere un lamento: sembra che non ci sia differenza tra Thailandia o altri paesi dell’area ed Europa o, soprattutto, Italia. Anzi, nel confronto il Belpaese esce a pezzi. Tanto più nelle proiezioni future. Dimenticando che la realtà di paesi come la Thailandia la viviamo in maniera privilegiata. Vediamo ma non osserviamo, non analizziamo. Insomma: non sappiamo. Il golpe in Thailandia, l’introduzione della sharia in Brunei, le violazioni dei diritti umani nei paesi dell’aerea ci appaiono fenomeni marginali rispetto alla crisi economica che segnerebbe il tramonto dell’Occidente. Siamo talmente focalizzati su noi stessi da scordarci di che cosa facciamo parte, del nostro sistema sociale, dei nostri valori.
Ci scordiamo Cicerone. Della nostra cultura, della nostra realtà. O peggio, non conosciamo la prima e non riusciamo ad apprezzare la seconda. In questo, sì, siamo globalizzati in un mondo di realtà virtuale dove l’informazione è autoreferenziale, dove la connessione crea incomunicabilità.
E’ una riflessione che vale anche al contrario, per gli altri. Gli asiatici, infatti, specie in Thailandia, giustificano ineguaglianze, colpi di stato, restrizioni e violazioni dei diritti umani affermando che i loro paesi non sono pronti per la democrazia, che per loro non si possono ancora applicare i valori dell’occidente. Al tempo stesso, però, contestano quegli stessi valori in funzione di una pretesa superiorità morale che deriverebbe proprio dal mantenere immutati i propri valori.
Invece è proprio nei beni definiti “immateriali” - quali la governance, l’innovazione, the rule of law, il welfare, la cultura della libertà di pensiero - che l’Europa può riaffermare il suo ruolo, definire un modello culturale. A condizione che ne abbia coscienza e capacità di affermarlo.
Come Cicerone.
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