Monsoni, esodi, orrori e valori

In sud-est asiatico è la stagione dei monsoni, ma il flusso dei migranti che attraversano il golfo del Bengala dalle coste del Bangladesh verso la Malaysia e l’Indonesia continua.
Monsoni ed esodi si ripetono ciclicamente come fenomeni naturali. Come tali sono interconnessi e variabili. Quest’anno, il monsone di sud-ovest sembra attenuato. Quindi il numero di barconi carichi di migranti è in aumento: sono gli ultimi giorni prima che le condizioni peggiorino. Poi non sarà più possibile prendere il mare mentre il mare e le piogge allagheranno il “il paese delle maree” creando un ennesimo disastro ambientale che alimenterà il numero di coloro che cercheranno di scappare.
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La maggior parte sono Rohingya. Sono circa un milione, musulmani, stanziati nel nord del Rakhine, stato della Birmania sul golfo del Bengala. Sono gli unwanted del sud-est asiatico. Anche loro fanno parte di questo ciclo naturale in un ineluttabile destino di povertà, schiavitù, fuga, cattura, fuga.
Sul finire di questa stagione monsonica, per l’ennesima volta, si contano i morti e si raccontano gli orrori. Ma la storia, alla fine, è sempre la stessa. Leggo le cronache di oggi (come questi due articoli, da Il Foglio e da il Wall Street Journal, che presentano singolari coincidenze). Rileggo vecchi articoli, compreso un mio reportage del 2009 realizzato nei campi profughi Rohingya in Bangladesh (qui, solo in italiano). Ben poco è cambiato. In peggio: dalle fosse comuni nella foresta tra Thailandia e Birmania, alle nuove persecuzioni in Birmania.
Campo profughi Rohingya in Bangladesh
Molti hanno paragonato questa alla tragedia dei migranti in Mediterraneo. E’ l’ennesima forma di globalizzazione, secondo alcuni. In realtà è il segno di quanto il mondo sia diviso. Oltre ogni conformismo culturale e nonostante molte ambiguità, l’Occidente dimostra che i suoi “valori universali” sono ancora i più forti.
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