La Ballata di Esmeralda

Una decina d’anni fa, all’uscita di un albergo di Santiago del Cile, un vecchio mi chiese se volevo acquistare il modellino di una nave. Era un bello schooner a quattro alberi, dalla linea slanciata. Tutto bianco. «Si chiama Esmeralda. Per noi era la Bianca Signora» disse il vecchio, vantandosi di aver fatto parte dell’equipaggio. La acquistai per poche decine di dollari. E me la portai dietro per mesi sino in Patagonia. «Sono in viaggio con Esmeralda» dicevo compiaciuto.
Tornato in Italia la ormeggiai tra i libri. Poi, traslocato in un appartamento molto più piccolo, fui costretto a riporla in una specie di gavone sotto il letto. Pensando che prima o poi avrebbe potuto rispiegare le vele in una degna collocazione. L’ennesimo trasloco condusse me ed Esmeralda nella casa di un altro vecchio marinaio. Che da marinaio vecchio, per trascorrere il tempo si mise a cercare la storia di Esmeralda.
E purtroppo la trovò.
Esmeralda, nave scuola della marina militare cilena, prese servizio nel 1954 e dal 1973 al 1980, durante gli anni della dittatura del generale Augusto Pinochet, fu impiegata anche come prigione e centro di tortura. Secondo i rapporti di Amnesty International, del Senato Usa e della Commissione Cilena per la Verità e la Riconciliazione, almeno un centinaio di persone sono state vittime delle crociere della morte. E’ la storia che hanno definito “il lato oscuro della Bianca Signora”.
Adesso la Esmeralda continua a solcare i mari come nave scuola. Partecipa a regate e manifestazioni. Spesso ammirata. Spesso contestata, simbolo dell’impunità di cui ancora godono molti criminali del regime di Pinochet.
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Dopo quella scoperta non sapevo che fare della mia Esmeralda. Mi appariva come la materializzazione del veliero de La Ballata del Vecchio Marinaio di Samuel T. Coleridge, simbolo di paura e maledizione.
Mi chiedevo chi fosse e che cosa avesse fatto il vecchio marinaio che mi aveva venduto il modellino. Mi veniva il dubbio che il male potesse trasmettersi come un’infezione: da uomini a navi, da navi a uomini, da uomini a modelli di navi. Alla fine c’ero io.
Pensai di tenerla, come personale oggetto di meditazione, segno dell’attenzione che bisognerebbe porre in ogni azione, della vitale curiosità che dovrebbe indurci a ricercare il significato nascosto di ogni cosa.
Fui tentato di distruggerla, come atto di esorcismo contro il possibile male che essa racchiudesse.
Decisi di abbandonarla in mare. Portandola a nuoto il più al largo possibile. Così, almeno, avrei compiuto un sia pur minimo gesto d’espiazione, un piccolo rito in onore dei morti. In tal modo avrei comunque rispettato lo spirito della nave, destinata al mare, purificandola dal male di cui era stata teatro e l’aveva contaminata.
L’ho abbandonata in mare. In un bel mattino di settembre, quando l’acqua era ancora calda, ma soffiava un vento teso di grecale che sollevava onde di 70, 80 centimetri che si frangevano lungo una barriera di scogli a una trentina di metri dalla costa. Ho nuotato oltre quegli scogli, sono andato ancora avanti, tenendo Esmeralda con una mano in modo che navigasse dritta davanti a me. Poi, quando ho avuto la percezione d’essere al largo, l’ho lasciata. Si è rovesciata sulla fiancata sinistra, mostrando la chiglia verde, di un tono un po’ più scuro dell’acqua. Era ancora bella, sembrava quasi adagiata sul mare. L’ho guardata allontanarsi da me rapidamente, spinta dalla corrente. Mi sono girato e ho cominciato a nuotare a bracciate più forti del mio ritmo abituale, tenendo la testa sott’acqua, cercando d’immaginare il fondo e i suoi fantasmi. Quando mi sono fermato, era scomparsa alla vista: lo sguardo non andava oltre la cresta dell’onda più vicina.
Appena messo piede a terra si è avvicinato un bambino. «Dov’è la tua nave?» mi ha chiesto.
«L’ho lasciata andare».
«Perché?».
«Perché era una nave cattiva».
«Ma le navi cattive sono nere e col teschio. Questa era bianca».
«Era cattiva lo stesso».
Ho pensato che non potevo spiegare a un bambino che mi parlava di Capitan Uncino il senso del karma, dell’equilibrio cosmico. Poi mi sono chiesto se riuscivo a spiegarmelo io. Se, in fondo, Esmeralda fosse innocente e non avessi voluto far scomparire con lei qualcosa che è dentro di me, come se l’Io fosse solubile nell’acqua di mare.
Ad aspettarmi su una piattaforma panoramica sopra la costa c’era il vecchio marinaio che mi aveva fatto scoprire la storia di Esmeralda. Dall’alto aveva seguito la sua deriva e l’aveva vista infrangersi su uno scoglio. Ho ricercato la posizione esatta del suo affondamento: 43°37’05.01” N e 13°32’02.73” E.
Prima o poi, magari tra qualche mese, quando l’acqua sarà più fredda e il mare più calmo, dovrò immergermi a cercarla. Forse troverò risposta alle voci che inquietano il Vecchio Marinaio della Ballata di Cooleridge:
“Ma dimmi, dimmi ancora,
la tua dolce risposta reiterando –
che cos’è che muove così lesta questa prora?
Il mare, dimmi che fa?”.
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