L'arte della fuga

Molti cercano un libro guida. Non un breviario esistenziale, riferimento culturale, morale, politico o filosofico. Una guida di viaggio. E’ sempre più difficile trovarne di buone. Tanto più oggi, che la letteratura di viaggio sta trasformandosi in una sequenza di luoghi comuni, banalità da turisti per caso, velleitarismi da sedicente viaggiatore. Sempre più spesso il miglior libro guida è un romanzo d’evasione: un thriller, un giallo, una storia d’azione, sesso, intrighi.
E’ il caso dei romanzi di John Burdett, ex avvocato inglese che vive tra Costa Azzurra e Thailandia. Le sue detective stories (dove il detective è un sangue misto diviso tra pulsioni mistiche da ex monaco e carnali da socio di un bordello), sono perfetta guida per Bangkok e molti scenari asiatici.
Altro recente esempio è il primo romanzo di Ron McMillan, giornalista scozzese di base a Bangkok con una lunga esperienza in Corea e in Cina. Si intitola Yin Yang Tattoo e conduce il lettore alla scoperta di Seoul e della Corea tutta.

«Non è grande letteratura» ha dichiarato Ron in un’intervista. E’ letteratura d’evasione, appunto. Escapist fiction. Nel senso di quella letteratura, quella fiction, che offre una fuga psicologica dai problemi di tutti i giorni, immergendo il lettore in una dimensione esotica, avventurosa, erotica. Lontanissima da una realtà percepita come noiosa, sgradevole, banale.
Il termine (che sia collegato a un romanzo, a un film, a qualsiasi espressione culturale) è usato spesso in senso quasi spregiativo, in contrapposizione a forme più “alte” d’espressione. Indica qualcosa di politicamente scorretto.
Forse per questo l’evasione si traveste da fuga o si definisce tale. La fuga, infatti, ha assunto una valenza più profonda e complessa. Esprime il senso della ribellione, dell’abbandono, della trasgressione, della disperazione e della vitalità. Diviene un senso della vita. Fuga, così, dà valore e significato alle forme in cui si esprime.
L’esempio perfetto è Easy Rider, il film di Dennis Hopper che ha segnato un’epoca e una generazione,

Altrettanta storia hanno fatto i film della trilogia della fuga di Gabriele Salvatores: Marrakech Express, Turné, Puerto Escondido. Quest’ultimo tratto dal romanzo omonimo di Pino Cacucci, autore consacrato da romanzi che hanno per protagonisti uomini in fuga.

In questo senso i libri guida d’evasione sono spesso libri sulla fuga, della fuga. Soprattutto perché sono stati scritti da espatriati, uomini che si fermano là dove nulla è familiare, dove la luce è surreale, gli odori sono quelli di spezie sconosciute e s’avvertono vibrazioni aliene, vittime di un auto esilio, immersi in un altrove che rifletta un’immagine rovesciata di se stessi. In Asia il senso di questa fuga si avverte ancor più forte, in un complesso mix di sopravvivenza, adattamento a tradizioni tanto antiche quanto esterne al nostro Dna, difficoltà linguistiche, opaca burocrazia e corruzione, avventura. E’ un percorso in cui ci si può facilmente smarrire, cedendo all’autoindulgenza e assolvendosi dai propri peccati commettendone altri. E’ anche per questo, forse, che si possono realizzare buoni libri guida. Il problema è che poi si vuole andare oltre, si comincia a pensare a Conrad. Ma questa è un’altra storia. Un’altra via di fuga.
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