Il villaggio dei Fiori di Luna

“Dok-mai chan”: in thai significa fiori di legno di sandalo. Con leggera variazione di tono, significa “i fiori di luna”. Sono fiori artificiali, composti da sottili strisce di corteccia, usati nelle cerimonie funebri. Sono preparati con delicatezza e precisione, anche nelle forme più povere in carta o legni meno pregiati, dalle donne del villaggio di Bang Sue.
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In realtà non è un villaggio, è un distretto di Bangkok, uno dei suoi slum. E’ considerato uno dei più pericolosi, covo di trafficanti di yaa baa, la metanfetamina che fa impazzire i poveri dell’Asia, vivaio di killer che si reclutano per cento dollari, di bambine avviate alla prostituzione e di bambini venduti a ricchi signori. Le donne che non vogliono o non possono più prostituirsi, le vecchie, le malate di aids, preparano i fiori della luna. Guadagnano circa 2,5 baht al pezzo, circa sei centesimi d’euro.
Nella palude su cui sorge il villaggio dei fiori di luna e in tutti gli slum inglobati in questa megalopoli si alimentano i semi della rivolta di cui si è appena concluso il primo atto. Non si possono sradicare, sono come i serpenti d’acqua. Bisogna bonificare la palude.
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