Quinto Potere

Il quarto potere è morto. Viva il quinto. I media tradizionali sono stati sostituiti da Facebook, Twitter, dai social network e da una galassia di blog. I giornalisti professionisti sono rimpiazzati dai citizen journalist: ognuno può comunicare ciò che pensa, vede e riprende grazie a telefonini, video e fotocamere digitali.
Ma il quinto potere è davvero meglio del precedente? Certo, quello era spesso impreciso e di parte. Ma il nuovo “giornalismo partecipativo” è ancor meno obiettivo, molto più impreciso, in toni e forme che spesso confondono la situazione, rendono indistinguibili le informazioni dalle opinioni.
La vera differenza tra i due poteri sta nel concetto di base. Le informazioni trasmesse dai nuovi media sono tali in senso informatico: enormi quantità di bit, di dati diffusi on line. Ma non lo sono nel senso semantico, ossia mezzo di conoscenza e formazione.
Bisognerebbe cominciare a distinguere: il mezzo non è il messaggio. Blog e social network non sono giornalismo. Sono fonti di opinioni, di idee, di impressioni senza alcun controllo, spesso comunicate da chi non ha alcuna preparazione su ciò che scrive. In molti casi sono il mezzo per esprimere una forma di autoaffermazione.
In alcuni casi, ne sono esempio la Birmania, il Tibet o l’Iran, il citizen journalist è stato l’unico testimone possibile. Ma in molti altri, la maggioranza, ha solo contribuito ad alimentare crisi, a confondere le idee, raccontando storie osservate da lontano e non verificate. A morire sul campo dell’informazione sono ancora i giornalisti professionisti.
Il fenomeno è ancor più evidente quando i blogger vogliono raccontare e spiegare il mondo. Diari di viaggio equivalenti alle proiezioni di filmini delle vacanze assumono la valenza di guide, se non di saggi geografici o antropologici. Tramite i Google Alert attivati per tutti i paesi del sud-est asiatico, ad esempio, scopro “templi sepolti nella giungla”, “mercati pittoreschi”, “vegetazioni lussureggianti”, “città di contrasti”, “atmosfere esotiche”. Vengo illuminato sulla globalizzazione che appiattisce il mondo, sui valori culturali che scompaiono. Insomma sono informato da una serie di luoghi comuni, scoperte già fatte, considerazioni di sequispedale banalità. Solo perché qualcuno è andato da qualche parte e vuole comunicarlo al mondo, affermando così la propria identità di vero viaggiatore o di travel writer.
E’ un’opinione che suona interessata, di un giornalista che pretende di essere uno dei pochi autorizzati a scrivere su questi temi. E’ assolutamente vero. Perché sono anni che vivo in questa parte di mondo, ne studio la storia e la cultura, ne analizzo problemi e politiche. E finalmente ho capito che non posso capire. Il che è un enorme passo avanti rispetto a tutti quelli che hanno capito tutto.

Un articolo sul tema (© - FOGLIO QUOTIDIANO).



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