I Mastini della Guerra

“Chiunque si trovi sul lato sbagliato dei sessant’anni e creda di poter fare qualcosa di buono andando in guerra a bordo di un elicottero da combattimento in uno dei più remoti angoli del pianeta o è un tantino pazzo oppure si fa le canne”scrive Al J. Venter, aggiungendo subito che, nel suo caso, non vale nessuna delle due condizioni. Lui è un reporter di guerra. Per la precisione un documentarista, un saggista, un esperto di strategie militari. Di guerre ne ha seguite moltissime, da molto prima di superare i sessanta, soprattutto in Africa e soprattutto a fianco di quelli che un suo vecchio collega, Frederick Forsyth, ha definito i Mastini della Guerra, i mercenari. Il brano che segue è tratto da un libro di Vender con questo titolo: War Dog. L’episodio si riferisce all’estate del 2000, quando Al era embedded tra i mercenari della Executive Outcomes che combattevano contro i ribelli che volevano rovesciare il governo del Sierra Leone. Volava in un elicottero russo Mi-24 pilotato da Neal Ellis, per gli amici Nellis.
Alcuni dicono che quella fosse una guerra “giusta”. Ma qui non si tratta di ciò. Qui, ancora una volta, si tratta di giornalisti che fanno rivivere il mestiere dei narratori ambulanti. Di quelli che ti fanno venire voglia di continuare. Anche se sei nel lato sbagliato dei Sessanta.

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Nellis si girò verso di me. “Hai portato l’acqua?”, mi chiese, mentre studiava una mappa sul cruscotto. Non mi diede il tempo di rispondere.
“Qualcosa da mangiare?”.
“Staremo fuori tanto a lungo?” chiesi.
“No, ma avrai bisogno di cibo nel caso che ci tirano giù”
“Tutto quello che ho è una scatoletta di carne”.
Non rispose.
L’equipaggio regolare viaggiava leggero. Nella maggior parte delle missioni non avevano portato altro che qualche bottiglia d’acqua, che era stata più che sufficiente per poche ore di volo. In un modo o nell’altro erano convinti che sarebbero tornati. Ma questo capita a ogni equipaggio aereo in quasi tutte le guerre.
Io ero un tantino più scettico. Dal primo giorno non ero mai salito a bordo senza una manciata di pastiglie per depurare l’acqua e la mia preziosa mappa stradale della Sierra Leone pubblicata dalla Shell Petroleum. Si diceva che era utilizzata anche dai ribelli nei loro spostamenti. Se le cose si fossero messe male, almeno avrei saputo come arrivare in Guinea.
“Armi personali ?” chiese Nellis agli uomini a bordo con aria di studiata noncuranza. Ogni membro dell’equipaggio aveva un AK-47 come dotazione standard. Per “fortuna” uno di loro aveva caricato una piccola, compatta mitraglietta ceca 9mm. Una volta smontata potrebbe stare nel vano portaoggetti dell’auto.
La sera prima, Hassan mi aveva informato su come comportarsi in caso di problemi. Qualunque cosa accadesse, mi aveva avvertito, avevamo sufficiente potenza di fuoco per trovare una via d’uscita da qualunque casino. Il problema era che i GMPG (general purpose machine gun, mitragliatori a multi-impiego) che avevamo caricato a bordo, accatastati sotto i sedili del compartimento principale dietro la cabina di guida, erano relativamente pesanti per questo genere di situazioni. Senza contare che i caricatori erano contenuti in stupide casse di legno a spigoli vivi, che si sarebbero rivelate un bagaglio molto difficile da trasportare se avessimo dovuto muoverci velocemente per uscire in fretta a una situazione pericolosa.
“Se succede qualcosa, devi dare una mano anche tu. Combattere”, mi aveva detto l’artigliere libanese con un sorrisetto ironico. In quel caso non ci sarebbero stati se o ma, aveva aggiunto, tanto per ribadire il concetto. Una volta aveva scherzato sul fatto che, dato che ero un giornalista, non dovevo preoccuparmi. “Alla più brutta basta che gli fai vedere la tua tessera stampa” aveva detto ridacchiando.


Da: “War Dog. Fighting Other People’s War. The Modern Mercenary in Combat” by Al J. Venter. Pubblicato per concessione della Casemate Publishers. Brani dalle pagg. 25, 36-7.