E la pillola va giù

Il sequestro di metamfetamine in quindici paesi del Sud-est asiatico è passato dai 25 milioni di pillole del 2007 ai 31 dello scorso anno. E’ uno dei dati del rapporto presentato a Bangkok dall’United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC) sulla situazione riguardante gli stimolanti tipo amfetamine e altre droghe in Asia orientale e Sud-est asiatico.
Non è una buona notizia: significa che la disponibilità di metamfetamine in quest’area, dove vive il 28% della popolazione planetaria, sta crescendo in modo proporzionale al suo tasso di sviluppo, uno dei più alti al mondo. Grazie alle nuove infrastrutture i trafficanti possono espandere più facilmente il mercato, e la criminalità organizzata intende stabilire in questa zona la propria base operativa.
Altra notizia inquietante è la crescente diffusione delle metamfetamine in cristalli, molto più potente. Poiché assunta anche per iniezione, può provocare un ulteriore incremento anche dell’Aids.
Non ci si limita ad avvelenare i consumatori attuali. Gli impianti di raffinazione sempre più grandi sparsi nell’area stanno provocando danni ambientali che potranno avere conseguenze sulle generazioni future. La Next Asia rischia di essere popolata da zombi.

Per scaricare il rapporto completo clicca qui.

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The Next Kong

La prossima Hong Kong, quella dei tempi d’oro, zona franca per ogni traffico, dovrebbe rivivere a Koh Kong, in Cambogia, un villaggio sul golfo del Siam, poco oltre il confine thai. E’ una promessa dell’ex premier thailandese Thaksin Shinawatra, deposto da un colpo di stato nel 2006, condannato per corruzione, fuggitivo tra Dubai, Nicaragua, Sud Africa e Cambogia. Dove è stato nominato consigliere economico dal suo “eterno e fraterno amico” Hun Sen, ex khmer rosso, da oltre vent’anni primo ministro cambogiano. Thaksin, dicono, frequentava Koh Kong quando era ancora in gloria e aveva intrecciato rapporti d’affari con il boss locale Ly Yongphat, senatore dal partito al governo in Cambogia, nonché sospettato di essere uno degli Asian Godfathers che occultamente controllano l’Oriente. Per ora l’unico indizio di quelle connessioni e del futuro di Koh Kong è il resort-casinò stile sino-impero-tropicale costruito da Ly Yongphat cento metri prima del confine con la Thailandia.
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L’ingresso del Koh Kong Resort & Casino, dominato
dalla statua del generale Kuan, dio cinese della guerra e degli affari.


Ma oltre quella specie di castello coronato da decine di statue di divinità greche si apre il nulla. La promessa zona economica speciale di Koh Kong è una landa deserta circondata da un muro già in rovina. Il villaggio di Koh Kong, sulla riva del fiume Kaoh Pao (sovrastato da un chilometrico ponte finanziato dall’onnipresente Ly), è poco più di un agglomerato di baracche sull’acqua – queste sì, versione in scala ridotta della Hong Kong anni ’50. Per ora Koh Kong serve soprattutto a costruire la futura Singapore, con la terra estratta dal fondo del suo fiume che decine di chiatte continuano a trasportare nella città-stato e i cui marinai sono i migliori clienti delle prostitute locali.
Koh Kong diventa così una metafora di quella Next Asia descritta da Stephen Roach, economista e presidente della Morgan Stanley Asia: la promessa, o la minaccia, del Secolo Asiatico che potrebbe essere ancora lontana dall’avverarsi. La Next Asia, infatti, è qualcosa che molti analisti sembrano dare per scontato osservando solo le mille luci di Shanghai, Hong Kong, Kuala Lumpur o Singapore. Senza vedere ciò che c’è oltre, le zone oscure che coprono il continente a macchia di leopardo.
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Same Same

In Thailandia c’è un’espressione diffusa per indicare le somiglianze con piccole differenze (o viceversa): “same same but different”. Si può applicare a molte delle caratteristiche thai e italiane. Oggi ne ho scoperta una nuova: la corruzione. Dalla Thailandia ci separano solo 21 posti (su 180) nell’annuale classifica - la Corruption Perceptions Index - stilata da Transparency International. L’Italia è al 63° e la Thailandia all’84° posto. Entrambe scese in classifica dallo scorso anno: rispettivamente dal 55° e dall’80°.
Se continua così prima o poi saremo solo same same, senza different (per adesso, come si nota nella carta, ci separa una sottile sfumatura di blu).

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L'Ombra del Guerriero

Sak Yant è il tatuaggio magico thailandese e khmer. Sak significa tatuaggio, Yant deriva da Yantra, termine sanscrito che indica i simboli utilizzati come supporto nella concentrazione o per favorire la meditazione. Lo Sak Yant è composto da segni e disegni che rappresentano preghiere buddhiste, formule magiche, divinità e demoni tutelari. Da centinaia d’anni i guerrieri del sud-est asiatico affidano il proprio corpo alla protezione degli Sak Yat che lo ricoprono. Un tempo li chiamavano Taharn Phee, soldati fantasma, come se i tatuaggi li rendessero invisibili ai colpi dei nemici.
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Un Pad Ti, Sak Yant che offre protezione da tutte le direzioni.
Ancor oggi i soldati thai e khmer si affidano alla magia del Sak Yant. Come fanno i Nak Muay, i combattenti della tradizionale e violenta Muay Thai, l'arte marziale thai. E come fanno le ragazze dei bordelli, che prediligono il disegno Jingiok, della lucertola, simbolo di attrazione per gli altri e "compassione" (nel senso di comprensione, partecipazione, assenza di giudizio) da parte degli altri.
Il tatuaggio che forse esprime meglio l'antico spirito del Sak Yant è disegnato con l'olio. «Non si vede che c'è, ma tu lo sai e gli Spiriti lo vedono» dice un vecchio monaco del Wat Bang Phra, un tempio famoso per i suoi riti magici e i suoi Ajarn, i maestri, tatuatori. Il Sak Yant invisibile è un simbolo potente del concetto di doppio, di ombra, di quello che per i giapponesi è il kagemusha. Induce a meditare sul senso dell'identità. E' anche uno spunto di riflessione per un mondo in cui il tatuaggio è divenuto una moda e un modo di apparire anziché essere. Senza sofferenza. Al contrario del Sak Yant.
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Un monaco pratica il Sak Yant nel Wat Bang Phra, divenuto famoso per gli incantesimi del vecchio abate Luang Pho Pern.
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Roulette Cambogiana

«Vai in Cambogia?». Per il funzionario del ministero degli Esteri Thailandese è scontato che in questo momento la meta di un giornalista residente a Bangkok sia la Cambogia. Il che non rassicura circa l’evolversi dell’ennesima crisi tra i due paesi.
E’ iniziata a fine ottobre, durante il Summit dell’
Asean, l’organizzazione dei paesi del sud-est asiatico, quando il primo ministro cambogiano Hun Sen disse che aveva intenzione di dare asilo all’ex premier thailandese Thaksin Shinawatra e nominarlo suo consigliere economico.
Thaksin, deposto da un colpo di stato nel 2006, da allora vive in esilio spostandosi tra Sud America, Dubai, Sud Africa (dove sembra si dedichi al commercio dei diamanti) e Cambogia. Nel frattempo un tribunale thai lo ha condannato a due anni per abuso di potere e corruzione. Secondo il suo “fraterno amico” Hun Sen, è vittima di una persecuzione paragonabile a quella subita dalla leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi, che ha trascorso gli ultimi vent’anni agli arresti.
Nonostante le proteste del governo thai, che ha giudicato la dichiarazione di Hun Sen come un’interferenza nei suoi affari interni, il premier cambogiano ha mantenuto il suo impegno e la settimana scorsa, con decreto firmato dal re di Cambogia Norodom Sihamoni, ha nominato Thaksin consigliere economico. Pochi giorni dopo il “fuggitivo”, come lo definiscono in Thailandia, è arrivato a Phnom Penh accolto con tutti gli onori. «Può aiutare la Cambogia a diventare ricca come la Thailandia» ha dichiarato Hun Sen. Speranza che Thaksin ha cominciato ad alimentare lo scorso anno, quando ha presentato un piano per trasformare in una “seconda Hong Kong” la provincia marittima cambogiana di Koh Kong.
Puramente formale, quindi, l’immediata richiesta di arresti ed estradizione di Thaksin rivolta al governo cambogiano da parte del procuratore generale thailandese.
Nel frattempo i due paesi hanno richiamato i rispettivi ambasciatori e la Thailandia ha cancellato il memorandum d’intesa con la Cambogia circa le zone di “sovrapposizione” ai loro confini. Come se tutto ciò non bastasse Thaksin ha rilasciato un’
intervista al Times in cui, sia pure in modo vago, sembra auspicare una riforma della monarchia thai, istituzione considerata sacra, tanto più in un momento estremamente delicato per le condizioni di salute del venerato monarca, Bhumibol Adulyadej.
Insomma, nonostante le sue dichiarazioni, secondo cui non avrebbe mai agito contro gli interessi, del suo paese, Thaksin si è trasformato nel detonatore di una crisi che potrebbe sfociare anche in un conflitto. In cui la Thailandia ha tutto da perdere.
Secondo alcuni osservatori, qualora la crisi dovesse peggiorare, un piccolo, povero paese come la Cambogia, che tutti ancora ricordano per gli orrori subiti durante il periodo dei kmer rossi (di cui Hun Sen fu tra i primi protagonisti), susciterebbe molta più simpatia della Thailandia. Senza contare che Thaksin potrebbe davvero apparire come un perseguitato.
Hun Sen, invece, non ha nulla da perdere. Anzi, la crisi sta già canalizzando il nazionalismo khmer nella direzione che vuole lui: contro i thailandesi. In questo modo riesce a distrarlo dalla crescente insofferenza verso vietnamiti, che hanno invaso il paese nel 1979, hanno prescelto Hun Sen come primo ministro nel 1985 e in modo più o meno occulto continuano a controllare il governo.
In questa prospettiva, c’è da chiedersi se gli Stati Uniti sosterranno la causa cambogiana in appoggio i vietnamiti (che si stanno dimostrando i migliori alleati nell’area) sacrificando il loro stoico alleato thai, mentre i cinesi si schiereranno con i thai in funzione antivietnamita e antiamericana sacrificando Thaksin che era consideravano un partner affidabile, sangue del loro sangue. E’ l’ennesima mano di un gioco cominciato trent’anni fa. A carte rimescolate.

Articolo pubblicato su
Il Foglio Online del 12 novembre

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Il Nome di Dio

In un racconto di fantascienza di Artur C. Clarke, i Nomi di Dio sono nove miliardi. E quando saranno stati tutti scritti (con parole di non più di nove lettere), l’umanità avrà esaurito il suo compito e ci sarà la fine del mondo. Possiamo stare tranquilli: tra quei nove miliardi di nomi ce n’è uno che non potrebbe essere scritto per definire Dio, a meno che non lo facesse un musulmano: Allah. Tra fantascienza e fantareligione è quanto sostiene il governo Malaysiano che ha vietato la distribuzione di diecimila Bibbie in cui il nome di Allah era usato per indicare il Dio cristiano. Il governo, espressione della maggioranza malay-musulmana che controlla il paese, ha affermato che la parola Allah è islamica e il suo uso nella Bibbia potrebbe offendere i musulmani. La Christian Federation of Malaysia, invece, sostiene che le popolazioni di lingua araba hanno usato quel Nome per riferirsi a Dio prima della fondazione dell’Islam.
"A Dio appartengono i nomi più belli: invocatelo con quelli" è scritto nel Corano (VII, 180). sarebbe davvero bello se a tutti fosse concesso di usare il nome per loro più bello. Anche a rischio della fine del mondo.
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Jim Thompson Mistery Trail

Il giorno di Pasqua del 1967 Jim Thompson s’incamminò lungo un sentiero delle Cameron Highlands, in Malesia. E sparì in quelle foreste di montagna. Misteriosa scomparsa che lo consacrò definitivamente tra le leggende dell’Asia contemporanea.
Affermato architetto americano, durante la seconda guerra mondiale Thompson aveva fatto parte dell’
OSS, l’Office of Strategic Services, il servizio segreto che sarebbe poi divenuto la CIA. La sua ultima missione doveva compiersi in Thailandia, ma la guerra si concluse mentre era in viaggio per Bangkok, dove assunse l’incarico di capo della stazione OSS. Dopo un breve soggiorno in patria, tornò in Thailandia. Secondo alcuni continuando a svolgere la sua attività di agente. Qualunque fosse la sua identità segreta, in pochi anni Thompson diede vita alla moderna industria della seta thai. Nel frattempo si costruì una splendida casa nel centro di Bangkok, arricchita da una collezione d’arte asiatica raccolta nei suoi viaggi nell’area.
All’epoca della sua scomparsa, dopo i lunghi anni dell’Emergency, la guerriglia comunista, le Cameron Highlands erano appena tornate a essere una località di villeggiatura come durante il periodo coloniale. Thompson era stato invitato da amici di Singapore che avevano là una residenza.
Oggi le foreste delle Cameron Highlands stanno sparendo tra coltivazioni di tè e fragole, residence, alberghi per la borghesia malese e thai che viene qui a prendere il fresco. Restano ancora alcuni tratti integri, come quello dove è stato tracciato il
Jim Thompson Mistery Trail, una passeggiata di circa due ore per osservare piante e fiori.
Dopo Jim Thompson è sparito il senso della sparizione, del mistero.

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“Se vuoi vedere la tomba di Jim Thompson vai a Honolulu” mi ha scritto un amico.
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