Bandiere Ombra

«Di che bandiera è la sua nave?» chiede l’ispettore della International Transport Workers’ Federation. E’ un indiano, si occupa dei marinai imbarcati sulle navi che battono bandiere ombra, Flags of Convenience.
«Panama?» risponde incerto il capitano filippino.
«M’è sembrato fosse cinese» dice l’ispettore.
Il capitano si sporge dall’oblò della sala mensa dove siamo riuniti e guarda fuori.
«Sì è cinese» ammette con una risatina.
«No. La società armatrice è cinese, di Taiwan. La bandiera è di Hong Kong» lo corregge l’ispettore.
«Che cosa trasportate?» chiede l’ispettore.
«Tante cose, non lo so di preciso» risponde il capitano allargando le braccia.
«Nessuno si lamenta. E’ tutto ok» dice il capitano quando l’ispettore gli chiede di vedere i contratti dei marinai.
«Nessuno si lamenta. Niente è ok» ribatte l’ispettore.
Sono frammenti di una conversazione che sembra una partita di poker in cui tutti tentano qualche patetico bluff a bordo di una nave ancorata nel porto di Bangkok. Non uno di quei battelli fantasma che ormai s’incrociano solo in qualche remoto approdo asiatico. Questo è un cargo di 11.000 tonnellate di stazza lorda, costruito in Giappone nel 2007. Percorre ininterrottamente la stessa rotta tra Taiwan, Saigon, Bangkok.
Nel frattempo il capitano ha chiamato il suo armatore, un certo Mr. Chu. E l’ispettore il suo ufficio di Delhi. E mentre s’intrecciavano queste inutili conversazioni, qualche marinaio filippino s’affacciava nella saletta con aria indifferente per capire cosa succedeva.
«Nessuno si lamenta» ripeteva il capitano. «Dobbiamo mantenere le nostre famiglie».
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