Il vero lato oscuro

Volevo scrivere una storia su “La follia di Almayer”. Il libro di Conrad e il quadro di René Magritte. Mi stavo perdendo tra tutte le connessioni e le coincidenze “culturali” che sembravano ricondurre alle disillusioni della vita. Poi ho lasciato perdere. Mi sembrava forzato: il narcisismo delle tenebre. Ho messo da parte il tutto per un altro momento.
Poi mi è arrivato un comunicato che mi ha fatto capire che il vero errore, spesso, è riferire tutto a noi stessi. Osservare il dito che la indica e non la luna. Le vere tenebre sono i crimini nascosti attorno a noi. La materia oscura.
Quel comunicato segnalava il Global Slavery Index 2013. Prodotto dalla Walk Free Foundation (WFF) analizza la situazione globale della schiavitù. Intesa come schiavitù vera e propria, lavoro forzato, traffico di esseri umani e pratiche quali la costrizione indotta dall’usura, i matrimoni forzati, lo sfruttamento di uomini e bambini.
Nel mondo ci sono trenta milioni di persone in queste condizioni. La maggior parte concentrati in Africa e Asia. Il più alto numero nei due paesi che dovrebbero rappresentare il futuro del pianeta: India e Cina.
Il quadro di Magritte diviene davvero un simbolo.
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La Storia di Essere Tempo

Il gatto di casa si chiama Schrödinger. E’ lui la chiave di tutto. Nel senso che tutto può essere, al tempo stesso, sia essere sia non-essere. Il nome del gatto richiama il paradosso del fisico Erwin Schrödinger, uno di quegli esperimenti mentali tanto affascinanti quanto poco comprensibili indotti dalla meccanica quantistica.
Schrödinger è un personaggio di Una storia per l’essere tempo, ultimo romanzo di Ruth Ozeki.
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“Un Essere Tempo è qualcuno che vive nel tempo. Il che significa tu e io e chiunque di noi è, era oppure sarà”, chiarisce nelle prime righe la scrittrice e monaca zen. E anche questa può apparire un’affermazione quantica: il tempo può essere sperimentato solo come un insieme di relazioni interdipendenti. Tesi sostenuta circa ottocento anni fa da Dogen Zenji (1200-1253) uno dei maggiori pensatori del Giappone e dei più grandi maestri di buddhismo zen, nel suo saggio Essere tempo. Maestro che ha ispirato la stessa Ozeki, come lei ha dichiarato in un’intervista.
Visto così, il libro può apparire l’ennesima storia post-new-age. In realtà – non a caso era tra i finalisti del prestigioso Man Booker Prize 2013 – è un romanzo complesso, che intreccia mistery e meditazione, storia e cronaca, diversi livelli spazio-temporali.
A mio giudizio è splendido.
A parte il mio giudizio, si presta a diverse considerazioni. Sullo scrivere come “forma di preghiera”. «Non stai pregando un Dio, ma stai evocando qualcuno che ti ascolti» ha detto la Ozeki, paragonando lo scrittore a chi “sente le voci”. «C’è sempre stato chi sente delle voci. A volte sono chiamati sciamani. Altre pazzi. E certe volte romanzieri».
Schrödinger, il fisico e il gatto, il monaco, lo sciamano, lo scrittore e tutti i personaggi di questo romanzo, a loro volta, dimostrano come sia possibile scrivere un romanzo filosofico. Il che è stato ed è messo in dubbio da molti. Secondo una visione molto occidentale e limitata, infatti, appartengono a due mondi diversi, richiedono modi di pensare e scrivere diversi.
“Una storia per l’essere tempo”, quindi, è l’ennesima opera delle Avventure della verità, quelle che compongono il racconto del millenario corpo a corpo tra arte e filosofia.
Il racconto, il “rècit” su Les Aventures de la vérité, è ancora in mostra alla Fondazione Maeght di Saint Paul-de Vence. Curata da Bernard-Henri Lévy, materializza, come ha scritto il filosofo-avventuriero, “il progetto un po’ folle di raccontare assieme, incrociandole, la storia della filosofia e quella della pittura”. Ciò che dice della pittura, infatti, si può ben applicare alla letteratura: «Credo davvero che la sua prima vocazione, il primo ruolo, è pensare, e farci pensare, il mondo».
34_1_huang_yong_ping_caverne2009-50 “Caverne de Platon”, di Huang Yong Ping, da “Les Aventures de la Vérité”
Tutto ciò non può essere facile, come oggi vogliono farci credere i profeti del pensiero incolto. E ancora una volta la chiave di tutto è il gatto di Schrödinger. Bisogna scegliere se vivere dentro una scatola restando per sempre intrappolati nel paradosso oppure aprire la scatola. Per cominciare apriamo la borsetta di Hello Kitty che contiene la storia di essere tempo.

A Tale for the Time Being by Ruth Ozeki -- Official Book Trailer from Viking Books on Vimeo.

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Il mondo di Melanie

Su un pezzo di legno del relitto di una barca da pesca arenato su una spiaggia delle Filippine, Melanie ha attaccato l’immagine di una piroga con due pescatori a bordo. Così quelle barche si sono reincarnate in The Explorer. Lo guardo su un muro di casa. Mentre lui sembra guardare il fiume, il Chao Phraya, oltre la finestra.
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Immagino d’essere anch’io su quella piroga, che da qui sembra puntare verso il fiume e poi la foce, nel Golfo di Thailandia. Per far rotta sulle Filippine, forse. Oppure il Borneo, le isole indonesiane, un punto qualsiasi del Sesto Continente.
E’ uno di quei momenti in cui ti poni la domanda così abusata: “Che ci faccio qui?”. A forza di ripeterla non fai altro, ti perdi come un marinaio che ha perso la rotta, non sa in quale porto attraccare o non ha porti in cui dirigersi. Continua a navigare come su una nave fantasma.
E’ un senso di spaesamento e al tempo stesso d’arenamento e smarrimento. Che spiega anche questa lunga assenza da Bassifondi. Ma ogni tanto una sospensione è utile. E’ l’attesa solo di una brezza che decida per noi.
The Explorer è una delle opere dell’ultima mostra di Melanie: Traces. L’ha intitolata così perché, dice, voleva che quei pezzi di legno incorporassero un messaggio: meno caos, più essenza.
Melanie Gritzka del Villar, vago mix tra Louise Brooks e Frida Kahlo, giovane artista di madre filippina e padre tedesco, ha vissuto e vive tra Asia ed Europa. Probabilmente è questa natura ibrida, cosmopolita, a tracciare il suo lavoro: sia nella tecnica, collages di materie diverse, sia nei contenuti, puzzle di mondi.
Per ora il mondo di Melanie è Bangkok. Il suo studio, nella popolare zona di nord-est, è all’interno di un grigio palazzo dove lavorano artisti, designer, creativi che compongono una “Thai post modern art society”. Si chiama Hof Art e ha un’immagine un po’ Bauhaus, sottolineata dal nome Hof Art, che richiama il “luogo” tedesco. In realtà Hof è un acronimo per Highly Optimistic & Friendly.
The Explorer mi ha condotto nel mondo di Melanie. E’ stato un soffio di brezza.
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