Una Land Cruiser bianca

“In sud-est asiatico, per capire qual è il miglior ristorante o albergo della zona c’è un sistema semplicissimo: se davanti ci sono parcheggiate le Land Cruiser bianche di qualche organizzazione umanitaria, allora è il posto giusto”. E’ un consiglio ai viaggiatori scritto qualche tempo fa. Tanto politicamente scorretto quanto vero. Girando per l’Asia questa realtà è evidente. Spesso in modo offensivo.
Altrettanto vero e forse ancor più politicamente scorretto – dipende dai punti di vista - dire che ci sono uomini che compensano questo ennesimo insulto alla disperazione.
E’ stato il caso del dottor Carlo Urbani, che ha “scoperto” la Sars e il 29 marzo 2003 è stato ucciso da quella malattia. Morendo è entrato nell’affollatissimo pantheon degli improvvisi Santi Nazionali. Poi, con altrettanta rapidità, ce ne siamo scordati.
Come lui, in giro per il mondo, ci sono molti altri uomini e donne. Non hanno la vocazione al martirio, non vogliono diventare Santi. Vogliono solo fare il proprio lavoro: aiutare chi ne ha bisogno. Cerchiamo di ricordarli da vivi.

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Il cappello di Panama di Hanoi

Nell’ultimo numero della rivista di bordo delle Vietnam Airlines appare una pagina pubblicitaria di Hermès. E’ la foto di un uomo che lancia in aria un cappello di Panama: un modello tradizionalmente bianco, con una fascia di seta blu e un sottile bordo sulla falda. Una piccola scritta precisa che è in vendita nella boutique di Hermès al Metropole Hotel di Hanoi.
In quella boutique un’elegante, raffinata commessa, quasi con aria di scusa dice che il cappello è stato venduto dieci minuti prima. Lo ha ordinato una signora di Saigon per regalarlo al marito. Costa 1200 dollari e la signora se lo è fatto spedire via aerea. Goodbye Vietnam.
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Sotto la pioggia di Nha Trang

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Una ragazza e una bambina vietnamite si riparano dalla pioggia monsonica sotto un ombrello. Un raggio di luce fa brillare l’acqua che scende e le pozze sulla strada. Sullo sfondo un ciclò, un risciò a pedali. E’ l’immagine che ha reso famoso Long Thanh, un fotografo di Nha Trang, città costiera nel sud del Vietnam. Durante la guerra era una base americana, oggi è una delle tappe nel circuito turistico del sud-est asiatico. Il suo modello è Miami.
La foto è stata scattata nell’aprile 1987, alle 4 del pomeriggio. Un anno prima il sesto congresso del partito dei lavoratori vietnamiti aveva dichiarato il Doi moi, il rinnovamento, la politica di liberalizzazione economica.
Long Thanh continua a lavorare come allora: non usa macchine digitali, fotografa in bianco e nero, sviluppa da solo. L’unica differenza è la pellicola: giapponese invece di quella prodotta nella DDR, la Repubblica Democratica Tedesca. “In Vietnam è cambiato tutto. Ma io voglio fotografare come una volta” dice.
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Kiniao Chic

C’è un termine thai che molti farang, stranieri, di passaggio a Bangkok sentono ripetere ma non sanno che cosa significhi: kiniao. A dirlo, mimetizzato da un eterno sorriso, sono le ragazze dei bar. Vuol dire tirchio. Da qualche tempo kiniao si è raffinato, è diventato uno stile di vita: il kiniao chic.
In tempi di crisi globale non è più di moda essere ricchi. Soprattutto è meglio non apparire tali. Anche qui, in un paese buddhista, dove la ricchezza non è considerata un peccato da espiare ma un segno di buon karma.
E così qualcuno comincia a lasciare in garage la Lexus con targa benaugurante – le targhe si possono comperare, e quelle in cui compaiono o si ripetono numeri di buon auspicio come il 7 costano migliaia di dollari – evita di esibire abiti griffati o orologi da 10.000 dollari. Si diffonde una moda shabby, trasandata, sdrucita, no logo. I ricchi cercano di proteggersi ingannando la povertà.
Per altri la crisi impone la necessità di riflettere su codici morali e sociali. Diventa sempre più forte il richiamo del “Buddhismo impegnato”, movimento che s’ispira agli insegnamenti del monaco vietnamita Thich Nhat Hanh e del thailandese Buddhadasa Bhikkhu. L’essenza della loro dottrina sta nel tentativo di connettere la purezza originaria del buddhismo ai problemi sociali contemporanei.
Oltre le mode e le tendenze culturali, però, il fenomeno potrebbe trasformarsi ancora. Nell’aria umida del sud-est asiatico, le prossime piogge sembrano cariche di presagi. C’è una minoranza per cui il kiniao è la divisa di una nuova casta di asceti-guerrieri. Per loro la crisi segna il crollo dell’Occidente e dei suoi valori, la democrazia innanzitutto. E quindi l’ineluttabile necessità di una rivoluzione culturale. Guardie Rosse e Khmer Rouge sono stati i primi modelli di stile kiniao.

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Attenzione: pirati

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La Steadfast è una nave cisterna di 149 metri e 10734 tonnellate di stazza, battente bandiera del Commonwealth of Dominica, con un equipaggio di 25 uomini. E’ partita il 18 dicembre dal porto di Palembang, costa orientale di Sumatra, in Indonesia, carica di olio vegetale. Sarebbe dovuta arrivare a Singapore il giorno dopo. Ma il 19 dicembre, alle 05.30 UTC (Tempo Coordinato Universale), si trova in tutt’altra posizione: a 2.20 N e 106.41 E, al centro del vasto tratto di mare tra la Malesia e il Borneo. Il 21 dicembre il Piracy Reporting Centre di Kuala Lumpur emette un avviso segnalando il sequestro della Steadfast da parte di una banda di pirati e la ricompensa di 100.000 dollari per chi ne dia informazioni. Intanto la rotta della nave è costantemente seguita grazie ai segnali del trasmettitore di bordo. Dopo una serie di intercettazioni a vuoto, la Steafdfast è intercettata a sud-est della costa vietnamita dalla marina militare indonesiana. I pirati riescono a fuggire. Nave, carico ed equipaggio sono salvi.
E’ una storia del 2005. Proprio per questo Mr. Chong può raccontarla. Mr. Chong è il responsabile del Piracy Reporting Centre dell’International Maritime Bureau. Da allora storie così se ne sono verificate a centinaia. E le ricerche sono diventate più difficili. I pirati adesso disattivano i trasmettitori.
Nel 2008 gli episodi di pirateria sono stati 293, le navi sequestrate 49, i morti tra gli equipaggi 11, i dispersi, probabilmente morti, 21. Una volta i morti erano di più, dice Mr. Chong. Ora lasciano gli equipaggi su isole deserte. Solo perché con i morti aumenta la pressione internazionale. In questa contabilità rientra il prezzo del greggio: quando scende aumentano gli attacchi. Ci sono meno controlli in mare. E’ come nelle aree residenziali: in quelle di lusso c’è più polizia. Senza contare, dice Mr. Chong, che oltre il 50% degli attacchi non è segnalato. Se sono riusciti a eluderli, i capitani vogliono evitare ritardi e controlli. In caso di sequestro, spesso l’armatore vuole negoziare senza interferenze.
Secondo Mr. Chong, sequestrare una nave è facile. Bastano le armi: si affianca lo scafo, si lanciano i rampini, ci si arrampica sulla murata, si sale in plancia. I mezzi sono diversi, ma l’arrembaggio è quello dei vecchi tempi. Cambia il modo di agire dei pirati. In Asia, quando sequestrano una nave, molto spesso la trasformano. Anche questo non è così difficile, specie se la utilizzano in zone remote come le coste del Borneo. In Africa, invece, non sono così “precisi” dice Mr. Chong. Lascia capire che i pirati somali sono i più pericolosi e i meno controllati.
Mentre parliamo arriva la segnalazione di una nave che ha avvistato un motoscafo con uomini armati a bordo.

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The Fixer

Il più famoso, ormai una leggenda nei peggiori bar di Bangkok, Saigon e dintorni, era Jack Shirley. Nel suo curriculum vantava una lunga esperienza come agente della CIA durante la guerra del Vietnam. A quanto raccontano e raccontava lui stesso era stato un killer dell’Agenzia che aveva “zapped”, eliminato, una dozzina di bad boys. Dopo la guerra si era stabilito in Thailandia ed era divenuto uno dei più quotati Fixer, richiesto dai produttori di Hollywood che volevano girare un film in Sud-est asiatico. Il Fixer, infatti, deve avere le stesse qualità del killer. Conoscere bene l’ambiente in cui si muove, avere i contatti giusti, essere rapido ed efficiente. L’unica differenza è che il Fixer non uccide, organizza. E’ una specie di guida che assiste giornalisti, operatori economici, chiunque voglia intraprendere una qualsiasi iniziativa in un paese “volatile”, instabile o problematico. In alcuni casi si confonde o è confuso con lo Stringer, un giornalista freelance che raccoglie notizie e informazioni per le agenzie stampa o per i corrispondenti e gli inviati ufficiali. Ma chi vuole davvero frugare nelle zone d’ombra, non troverà miglior collaboratore, e a volte amico, di un bravo Fixer. Senza contare che è divenuto uno status symbol.
Ho anch’io un Fixer. Anzi, più d’uno.
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