Il viaggio del Naga

Bangkok: mattino di sole. Nella piscina condominiale c’è gente che fa il bagno. Nelle terrazze dei grand hotel bordo fiume, gli ospiti fanno la prima colazione. Sulla corrente passano i longtail boat, le barche lunghe e strette oggi utilizzate soprattutto dai turisti.
Sei tentato di restare nel tuo appartamento all’ultimo piano di un condominio sul fiume. Come un eremita metropolitano. A scrivere, distraendoti ogni tanto in piscina, o osservando il panorama dall’alto. Il tempio cinese di fronte ha un aspetto curioso: si vede solo il tetto a pagoda e parte delle colonne decorate da draghi che lo sostengono.
Perché Bangkok è in gran parte sommersa dall’acqua. Come circa 15.000 chilometri di Thailandia. Le conseguenze economiche sono catastrofiche. Peggiori ancora quelle umane e sociali. Ma dipende da dove le osservi: dall’alto appaiono molto lontane, parte di un mondo che non è il tuo.
Se però scendi in basso e ti allontani solo di poco dal tuo piccolo mondo, ti accorgi che la terra non c’è più. Molte strade sono diventate canali, mercati, case, negozi sono allagati. I piccoli supermercati hanno gli scaffali vuoti, i vaporetti che collegano gran parte della città hanno sospeso il servizio. I passeggeri non saprebbero dove sbarcare. Tutto questo, molto vicino a te.
Allora s’insinua un sottile timore. Che il tuo piccolo mondo, nel prossimo futuro, ore o giorni, si trasformi in una specie di prigione. Da cui prima o poi dovrai uscire per cercare cibo e acqua. Forse, non avrai più luce. Scoprirai quant’è duro scendere e salire per trentuno piani.
E’ un’ipotesi da film catastrofista. Eppure il dubbio ti viene. E allora hai l’immediata, profonda percezione delle fragilità di un sistema globale. Dove le cause più profonde dei disastri sono da imputare a una gestione sacrilega della natura.
Poi pensi all’ancor maggiore fragilità del sistema asiatico, troppo frettolosamente indicato quale protagonista di un nuovo secolo che dovrebbe segnare il tramonto dell’Occidente. Qui i grattacieli sono spesso un’esibizione di potere più che un segno di vero potere. E’ quasi un paradosso che il peso stesso dei grattacieli di Bangkok contribuisca al suo sprofondamento.
Qui il fattore umano è troppo spesso marginale: le disuguaglianze sociali e il degrado moltiplicano i rischi. Ma poi scorreranno via con l’acqua.
Infine, ma solo perché ci vuole tempo per metabolizzarla con molta sgradevolezza, ti rendi conto della tua fragilità. La maggior parte dei thai che s’incontrano, di fronte alle loro case allagate, alle botteghe devastate, sorridono. «Mai pen rai» dice qualcuno, con un’espressione di rassegnata tranquillità.
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Se paragoni le tue ansie al loro atteggiamento, il risultato è sconfortante. Vedi i tuoi vizi, le tue debolezze, il tuo distacco dalla realtà.
Da tempo non credo alle coincidenze. Ora me lo conferma il Naga, il serpente a sette teste che nella mitologia asiatica rappresenta lo Spirito delle Acque. Che può rivelarsi tanto benevolo quanto vendicativo e devastatore. Proprio in questi giorni sto traducendo un libro dello scrittore thai Tew Bunnag intitolato Il viaggio del Naga (dovrebbe uscire in italiano nel 2012 per l’editore Metropoli d’Asia). Il Naga, in forma di una disastrosa inondazione che sconvolge Bangkok infrangendo tutte le sue fragilità e di coloro che ci vivono - «Fragile non significa che è debole, significa che si rompe facilmente» precisa Bunnag – è il personaggio latente di quel romanzo.
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Intanto è passato un altro giorno. In piscina, una coppia si gode la brezza. I ristoranti sono illuminati. Almeno qui, il caso e il caos restano ancora sotto la superficie del fiume. Come il Naga.

Un video thai (sottotitoli in inglese) che spiega, al modo thai, che cosa e perché sta succedendo. A modo suo è efficace.



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Flussi

Mi sono arenato su una nave fantasma. Nel frattempo la storia si è risolta. I marinai sono stati pagati. Forse anche perché quell’ultimo post è stato usato come minaccia.
Intanto, in pochi mesi di ritorno a ovest, il tempo è trascorso senza che altre storie apparissero su Bassifondi. Non che in Occidente non ce ne siano. Anzi, i bassifondi si espandono, diventano una palude dove le idee stagnano, marciscono. E’ come se nell’aria ci fosse una specie di blocco che paralizza le idee. Come se le menti fossero troppo impegnate a ragionare solo pro o contro qualcuno o qualcosa. Tutto inevitabilmente viene ricondotto a ciò. Come un labirinto che ha molte vie d’ingresso e l'uscita dev'essere ancora aperta.
Ma ora basta. Sono tornato a est. Non che in Oriente non ci siano crisi. Anzi, molto spesso, in questa parte di mondo assumono dimensioni catastrofiche, bibliche. E oltre le immagini dello sviluppo restano cupe zone d’ombra. Solo che qui ci si sente dentro un flusso, una corrente d’idee, si percepiscono orizzonti più lontani e c’è la curiosità e il desiderio di scoprirli.

Accade, ad esempio, che in una piccola galleria d’arte di Bangkok sia allestita una mostra in cui artisti indiani di religione hindu, musulmana e cristiana interpretano il Ramayana. Secondo il curatore indo-americano, Siddharta V. Shah, è un modo di materializzare gli archetipi junghiani, superare il contrasto tra cultura e religione. Forse, ma intanto accade.
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A Singapore, poi, si materializzano megaprogetti che modificano i concetti stessi dell’urbanistica, come i Gardens by the Bay.
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Ma si scoprono anche commistioni artistiche meno evidenti seppure di grande impatto. Come le stupende opere calligrafiche della Francese Fabienne Verdier, esposte alla Art Plural Gallery.
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Allora, alla fine, viene da sperare anche per l’Occidente. Speriamo nei flussi, per riprendere a navigare.

teaser : fabienne Verdier : flux: un film de philippe chancel from philippe chancel on Vimeo.


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