Hotel Rwanda

Sperando ancora che non diventi Hotel Bangkok. Che non si materializzino in Thailandia le scene del film con quel titolo, ambientato in Rwanda nel 1994, anno del genocidio che coinvolse Hutu e Tutsi e si concluse con oltre un milione di morti. Un’ipotesi agghiacciante. Sembra improbabile, anche perché la crisi thai si verifica in un contesto molto differente e non ha implicazioni etniche. Non così profonde, almeno. E’ “solo” una lotta di classe. Ma è possibile. Quasi a esorcizzare l’incubo di una guerra civile mostrandone l’orrore, l’associazione “People Who Do Not Accept Civil War” ha proposto di proiettare il film in una stazione di Bangkok. Ma il governatore ha negato il permesso affermando che avrebbe potuto accendere nuove tensioni. Il problema è che, mentre in Rwanda le tribù in lotta erano solo due, qui sono molte di più.
|

Bangkok Dangerous

Il quotidiano thai in lingua inglese “The Nation” di oggi ha titolato “Bangkok Dangerous” la cronaca della scorsa notte. Tanto confusa che, a distanza di venti ore, non si sa di preciso quante granate siano state sparate (4 o 5, ma propendo per la seconda versione) né quanti morti abbiano fatto (sembra 3, è probabile). Un’incertezza sui dati che è un pallido riflesso della confusione della situazione, delle analisi, delle prospettive o soluzioni, degli scenari previsti. E’ certo che Bangkok è pericolosa. E che il titolo è un plagio: riprende quello di un film del 2008 con Nicolas Cage, storia di un killer incaricato di assassinare un uomo politico thai. Ma era una Bangkok in cui il pericolo era parte del suo fascino. Una Bangkok che sta scomparendo.

|

Com'è triste Bangkok

Il centro è diviso in due parti. Una sembra una zona di guerra. I cecchini appostati, i soldati accampati, il filo spinato, le ambulanze parcheggiate. L’altra sembra ormai diventata un campo profughi. Con annesso mercatino di cibo e abbigliamento a basso costo. Patpong, la via dei locali notturni e delle bancarelle per turisti, si è spenta. Non ci sono più i contrati tanto amati o condannati, si sono uniformati in quest’atmosfera desolata, da deserto dei tartari, in attesa di uno scontro sospeso. Forse Bangkok si avvia a diventare più giusta, più etica, più corretta. Forse lo sarà ancor meno. In ogni caso un po’ di questa tristezza le resterà addosso.
P1080517
P1080494
|

Il primo sangue

Una donna in lacrime chiede di accompagnarla a casa: abita all’altro lato della piazza del Democracy Monument di Bangkok. E’ terrorizzata. E’ cambogiana. Rivive qui le scene di vent’anni fa, quando è fuggita dal suo paese. Nella notte di sabato 10 aprile, a Bangkok, si sono svolte le prove generali di una guerra civile. Una guerra civile, non un golpe.

P1080206

P1080171

P1080213

P1080265

P1080281

P1080320

P1080311

P1080325

Per leggere la cronaca di quel Sabato Nero clicca qui

Mezz’ora più tardi, quando gli scontri erano terminati, quella donna non era più dove l’avevamo lasciata, al sicuro. Certamente è tornata a casa, forse pensa di tornare in Cambogia, al sicuro.
|

La strage degli Innocenti

In Birmania un terzo delle IDP, le Internally Displaced Persons, sono bambini. E’ il modo migliore per distruggere il futuro delle etnie che si oppongono al governo centrale. Un progetto in cui, oltre all’identità e all’infanzia, spesso è negata la vita. I bambini sono sfruttati nei lavori forzati, violentati. Anche torturati. E’ la sintesi di un rapporto realizzato dai Free Burma Rangers, organizzazione umanitaria multietnica che opera in territorio birmano. Il rapporto è stato presentato a Bangkok nei giorni delle manifestazioni. Scarsa l’attenzione dei media. «Non so i media, non so niente di tutto questo. So quanto si soffre e vado avanti” dice Monkey, un Free Burma Ranger di etnia Karen.

Per leggere il rapporto clicca qui.
|

Suonala ancora Bob


Bob King è un pianista jazz. Da dieci anni passa parecchio tempo a Bangkok. Ogni secondo venerdì del mese suona al Foreign Correspondent Club. Anche la sera del 9 aprile, mentre dalla strada sottostante salivano le grida e la musica delle manifestazioni. Prima della sua esibizione abbiamo parlato un po’. Secondo lui tutta questa storia è la solita vecchia storia.
|

Polli Rossi

Si materializza il disegno sulla maglietta dell’FCC, il Foreign Correspondent Club di Bangkok: un gruppo di reporter a bordo di un tuk tuk, il tradizionale triciclo a motore thailandese, che insegue un pollo. Una maglietta forse ideata ai tempi dell’aviaria, comunque significativa del fatto che a Bangkok le notizie d’interesse globale scarseggiano.
P1080041

Ora, al posto dei polli ci sono i “Rossi”, decine di migliaia di manifestanti che dal 13 marzo occupano Bangkok spostandosi da un quartiere all’altro per chiedere lo scioglimento del parlamento e nuove elezioni. E così ci si ritrova su tuk tuk, moto taxi o “embedded” nei pick-up dei rossi, per seguirne gli spostamenti. Di giorno in giorno, di ora in ora, diventano sempre più rapidi e imprevedibili, soprattutto dopo la dichiarazione dello stato d’emergenza da parte del governo. “Una risata vi sommergerà” era un vecchio slogan della contestazione. Si applica perfettamente alla situazione thai, con qualunque colore la si voglia dipingere: il rosso dei “prai”, i contadini, il popolo manifestante, il giallo dell’ammat, l’elite dominante, il rosa, considerato beneaugurante per la salute del Re, di chi vuole esprimere un senso di thailandesità super partes, il blu di quelli che vogliono confondere lo scenario, il nero degli uomini del servizio d’ordine dei rossi, il verde dei soldati (definiti anche watermelon, angurie, versi fuori e rossi dentro). Basta che nel “paese del sorriso”, la risata non si spenga.
P1060319
|

The Joker

Una fila di persone, uomini, donne, alcune con un bambino in braccio, si allunga al centro di una strada di Jakarta. Alzano la mano per chiedere un passaggio. Si fermano parecchie auto. Molte BMW, Mercedes, Lexus. In qualche caso fanno accomodare il passeggero nel sedile davanti, accanto all’autista. Che sia una dimostrazione di solidarietà, espressione della cultura democratica, moderna che sta nascendo in Indonesia? In realtà quelle persone non chiedono un passaggio. Si offrono come passeggeri. Sono The Joker, il jolly, per attraversare alcune zone dove, nelle ore di punta, ogni auto deve avere almeno tre persone a bordo. Un servizio che costa circa diecimila rupie (circa un dollaro). Non poco in un paese dove il salario medio è di circa 100 dollari il mese.
Forse anche the joker contribuisce alla crescita economica dell’Indonesia, che, secondo il fondo d’investimenti Templeton, potrebbe entrare a far parte del cosiddetto Bric, il gruppo di nazioni (Brasile, Russia, India e Cina) che compongono l’emergente potere globale.
Forse, invece, gli analisti finanziari dovrebbero scendere più spesso per strada, lasciando per un attimo gli uffici condizionati nei grattacieli del business district. Asiatici. Solo così i loro rapporti risulterebbero davvero corretti.
Gli stessi analisti dovrebbero andare più spesso anche a messa. Si accorgerebbero di quello che può essere il vero Joker del paese con la maggior popolazione islamica del pianeta: il cinese cristiano. E’ l’esemplare di una specie in espansione che potrebbe rivelarsi risolutiva nella definizione dei prossimi equilibri planetari.
|