Una pizza col morto

Metti una sera a cena, mangiando una pizza nel giardino di un ristorante italiano in un lussuoso shopping mall di Bangkok, col sottofondo musicale dei Gipsy Kings. E intanto sfogli sull’iPad le pagine di un libro sulla guerra asimmetrica, ossia la guerra che si combatte tra forze impari. S’intitola Moral Dilemmas of Modern War. L’autore è Michael L. Gross, condirettore del programma di Etica Applicata alla facoltà di Relazioni Internazionali di Haifa. Scrive nella prefazione: “Lo vedo come una guida pratica, poiché intende rispondere alle domande morali e legali poste da studiosi di politica e leader politici, militari, giornalisti, filosofi, studenti e cittadini, circa le diverse tecniche, armi e pratiche utilizzate in un conflitto asimmetrico”. La guida pratica che segue riguarda temi quali la tortura, l’omicidio mirato, gli interrogatori pesanti, la armi non letali (che siano chimiche e strutturali, qual è la logistica), gli attacchi a combattenti civili, il ricatto, il terrorismo. Il tutto analizzato con freddezza, rigore, lucidità. Al confronto Machiavelli e Hobbes appaiono Candide. Mentre scorri rapidamente le pagine luminose, che appaiono come un’altra decorazione sul tavolo, il cervello va in corto circuito per il sovraccarico delle informazioni, il loro significato, l’incoerenza con l’ambiente.
In questa surreale situazione, cominci a pensare che ti stai trasformando in un mostro: riesci a goderti il cibo, la musica, la serata, mentre evidenzi sullo schermo acronimi come Sirius (superfluous injury or unnecessary suffering). Allora ti coglie un vago senso di paura. Non per un sussulto moralistico. E’ la paura che nasce dalla presa di coscienza della realtà, dal fatto che l’alternativa è ristretta: o ti coinvolgi negli avvenimenti, oppure cerchi di analizzarli.
E’ quello che ho iniziato a fare, scoprendo che la compagnia dei “mostri”, coloro che hanno scelto di analizzare senza cedere agli stereotipi politicamente corretti, è numerosa e interessante. Ad esempio il professor Peter Andreas, che ha curato un saggio dal titolo inquietante e affascinante: Sex, Drugs and Body Counts, ossia “la politica dei numeri nel crimine globale e nei conflitti”. Dove si scopre che in questi casi è quasi impossibile ottenere statistiche reali. Sono manipolate in funzione delle esigenze del momento: quando i governi spingono per un intervento (come in Kosovo), le cifre sono gonfiate, quando vogliono astenersi (come in Darfur), sono ridotte. Accade così per il numero di persone uccise nei genocidi, per quello dei migranti, per la grandezza dei traffici di droghe ed esseri umani. A quanto pare è opinione diffusa che le cifre siano più efficaci delle parole e soprattutto che nessuno si prenda il disturbo di confutarle. Ancora una volta, quindi, si rileva la necessità di un’analisi chirurgica.
Altra cattiva compagnia che riesce a chiarire parecchi lati oscuri dell’attuale ordine mondiale è Laura Dickinson, direttrice del “Center for Law and Global Affairs” della Arizona State University. Lei si è dedicata a un tema destinato a divenire sempre più diffuso: quello dei “Contractors”, coloro che un tempo erano definiti “mercenari”. Nel saggio Outsourcing War and Peace: Preserving Public Values in a World of Privatized Foreign Affairs, la dottoressa Dickinson non giudica il fenomeno. Ne prende atto ma valuta i rischi posti dall’impiego dei contractors cercando di definire nuove regole affinché anche loro siano soggetti alle regole, si adeguino ai valori condivisi di diritti umani, rispetto dei principi di democrazia, trasparenza.
C’è qualcuno, tuttavia, che crede non sia sufficiente capire, ma sia necessario intervenire. Tanto più in un Occidente troppo viziato dal suo benessere, dalla sua tranquillità. Farlo, in fondo, non ci costerebbe troppo. Basterebbero piccoli atti di resistenza civile, di opposizione a ciò che si ritiene ingiusto. Basterebbe seguire l’esempio di coloro che l’hanno fatto, con rischi molto maggiori, in tutto il pianeta. E’ quanto raccontano Steve Crawshaw e John Jackson, entrambi in prima linea nella difesa dei diritti civili, in Small Acts of Resistance: How Courage, Tenacity, and a Bit of Ingenuity Can Change the World. Il libro è una raccolta di piccole, grandi storie di uomini che si sono opposti a un’autorità repressiva con azioni più o meno legali (considerando il relativo valore del concetto) ma sempre non violente. Dimostra che, alla fine, qualcosa si può fare. E’ solo un po’ scomodo e impone qualche rinuncia. “Basta che non sia alla pizza” dira subito qualcuno.

Un’analisi profonda da Finché c'è guerra c'è speranza, diretto e interpretato da Alberto Sordi.





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