Le Storie nel Rosario

Continuo a passare tra le dita i grani di legno di sandalo di un phat chau, un rosario buddhista. Me l’ha regalato con un sorriso e una benedizione Thay Giau Nghia, abate della Chua Van Diic, piccola, colorata pagoda in un fresco vicolo di Nha Trang, città sulla costa centro-orientale del Vietnam.
Il rosario serve a tenere il conto dei mantra recitati senza distrarre la mente. Quello canonico ha 108 grani, numero sacro per il Buddismo, ma ce ne sono altri composti da multipli di 9, che rappresenta la completezza. Il mio ne ha 18. Pochi, per i titoli delle storie che sto recitando.
Ad esempio proprio quella di quel monaco, anzi del Maestro (questo significa Thay). Lui e altri cinque confratelli andranno in missione in tre piccole isole, due in ognuna, sperdute nel Bien Dong, il Mare dell’Est, come i vietnamiti chiamano il Mar della Cina del Sud. Sono note come Spratly. Per i vietnamiti sono le Truong Sa. Sono una miriade di scogli, banchi corallini, isole e isolotti che, pare, galleggiano su un mare di petrolio, acque tra le più pescose del mondo, intersecate dalle maggiori rotte commerciali sin dalla fine del XVII secolo. Ecco perchè sono contese tra Vietnam, Cina, Taiwan, Filippine, Brunei. Secondo alcuni analisti di strategie globali potrebbero essere il detonatore della III guerra mondiale.
Sei monaci contro una portaerei (curioso questo sito di un oculista vietnamita residente in Illinois, un’altra storia, si direbbe) è stato scritto, con una certa tendenza eroico-melò, riferendosi alla missione guidata da Thay Giau Nghia e alla Shi Lang, la prima portaerei cinese, che verrà dislocata proprio Mar della Cina del Sud. Per i cinesi è uno sporco trucco. Per i vietnamiti un confronto tra l’uso della forza e la forza della ragione. Per i monaci è anche un’occasione per meditare, come dice uno dei più giovani tra loro, Thich Thanh Thanh: «Un monaco ha bisogno di un posto in cui meditare».
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Questa storia è ormai inglobata nella prima perla del rosario, ci vive dentro, nel suo presente e forse nel suo futuro. Aspetta solo di uscire da quel piccolo guscio di legno di sandalo con inciso un ideogramma ed essere raccontata. Come molte altre che cercano di conquistarsi il loro grano di rosario, condensarsi là, in una memoria latente, e poi trasformarsi: da appunti, impressioni, note, riferimenti, link, in racconto.
Quasi che ognuno di quei 18 lucidi grani fosse come una roccia, un albero, un termitaio sulle vie dei canti australiani: cantandole rivive la storia che si è depositata in quel frammento di un mondo parallelo. Ecco: quel rosario è una potenziale Via dei Canti che mi riconnette a un personale Tempo del Sogno.
Forse ci vorrebbe davvero un rosario più grande, di quelli da 108 grani. Intanto comincio a far scivolare le dita sul secondo e provo a sentire chi c’è e che cosa racconta.
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