Camminando tra coltelli affilati

“Essere un capo villaggio è come camminare tra coltelli affilati” recita il titolo di un rapporto della Karen Women Organisation. Perché quel capo è una donna. Dal 1980 nei villaggi di etnia Karen disseminati nella Birmania orientale, il capo villaggio è spesso scelto tra le donne. Si sperava che i soldati birmani non le avrebbero eliminate come facevano con gli uomini. Così non è accaduto. Anzi. Secondo il rapporto le donne sono state crocifisse, torturate, bruciate vive, stuprate in gruppo, ridotte in schiavitù. Il loro è un martirio ignoto.

Per il download del rapporto clicca qui.
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Combattimenti

Uomini, donne, bambini, galli, cobra. Nell’Isaan, il nord-est della Thailandia, la regione più povera, tutti combattono. La lotta è un modo di vivere. È una rappresentazione, spesso all’interno dei monasteri. Si assiste a scene che possono apparire ridicole, sgradevoli, immorali. Chi volesse ergersi a giudice dovrebbe vedere anche quelle mistiche.
Come il padre e il suo bambino di sette anni, inginocchiati l’uno di fronte all’altro, le mani giunte nel gesto del wai, segno di rispetto e benedizione, poco prima che il bambino salisse sul ring per un combattimento di Muay Thai. E il padre iniziasse a scommettere.
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Confucius

In tutta l’Asia orientale è in programmazione il film Confucius, kolossal sulla vita del grande pensatore e politico divenuto l’icona della nuova Cina. Quarant’anni fa, durante la Rivoluzione culturale, la sua tomba fu profanata “per attestarne la morte certa”: un lasso di tempo che Confucio avrebbe ritenuto poco significativo.
L’uscita del film ha suscitato polemiche e infiniti commenti per la coincidenza con l’esclusione delle sale di Avatar. Un’interpretazione diffusa è che il film di Cameron fosse una parabola in difesa dei diritti umani e delle minoranze etniche. Confucius, invece, rappresenta in forma spettacolare l’aspetto più nobile della Cina, quello della “benevolenza”, della “società armoniosa”.
Difficile riconoscere una contraddizione apparente nella morale implicita dei due film. È questo che dovrebbe davvero indurre a una riflessione. Continuiamo a valutare concetti di etica e giustizia secondo i codici della nostra cultura, cristiana o socratica che sia. Il confucianesimo fa parte di un’altra logica, che i suoi nuovi discepoli applicano in modo totale. È seguendo questa stessa logica, del resto, che anche molti buddhisti arrivano a teorizzare una “dittatura illuminata”.
«In questa parte di mondo siamo lontani dall’idea di Do, ma è fortissima l’idea della morale» commenta un missionario cattolico.
«In tempo di guerra ci vogliono i generali. In tempi di disordini ci vogliono i pensatori» dice nel film il duca Ding, sovrano di Lu, per richiamare Confucio.
I cinesi lo hanno capito.

I trailer di Confucius





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Minority Report

E’ stato presentato a Bangkok il rapporto di Amnesty International “The Repression of ethnic minority activist in Myanmar”. Sono 58 pagine frutto di due anni di lavoro. E’ l’ennesima lista di orrori, stupri, torture, lavori forzati, crimini commessi dallo State Peace and Development Council (SPDC), la giunta che governa la Birmania.
Nello stesso giorno, mentre stava arrivando in Birmania l’inviato delle Nazioni Unite per verificare eventuali progressi nel rispetto dei diritti umani, un tribunale militare ha condannato ai lavori forzati quattro donne. Erano state arrestate lo scorso ottobre con l’accusa di aver consegnato ai monaci libelli sovversivi.
In realtà, negli ultimi tempi, il regime sta applicando quella che un dissidente rifugiato a Bangkok definisce “l’offensiva dello charme”. Ha rilasciato l’ultraottantenne Tin Oo, uno dei maggiori esponenti dell’opposizione, ha dichiarato che libererà Aung San Suu Kyi e le ha concesso di incontrare alcuni dirigenti del suo partito, la National League for Democracy (NLD).
L’obiettivo è conquistare una certa legittimità internazionale e dimostrare che le prossime elezioni (indette per quest’anno senza precisare la data) non saranno una farsa bensì un passo sulla strada per la democrazia (seppure “controllata”, secondo il principio vigente in tutti gli stati del sud-est asiatico). Una strada che molti giovani comandanti militari reputano ineluttabile, non foss’altro per allargare il loro giro d’affari e non dipendere totalmente dal controllo cinese.
In questo scenario, come ha dichiarato il rappresentante di Amnesty Benjamin Zawacki, tutta l’attenzione sarà focalizzata sulla Signora Suu Kyi e la National League for Democracy, dimenticando le minoranze (il 40% della popolazione), che pure “hanno giocato un ruolo importante nel movimento d’opposizione”.
La giunta militare, invece, afferma che quelle contro le minoranze sono operazioni militari contro gruppi separatisti e terroristi. Un problema reale, sussurrato anche da alcuni esponenti dell’opposizione. Nel momento in cui in Birmania s’indebolisse il regime centrale, si correrebbe il rischio di una guerra tra vari Signori della Guerra e della Droga. Il che non giustifica la politica della giunta, che opera nella presunzione di ciò che potrebbe accadere per stabilire una vera e propria etnocrazia.
Il rapporto di Amnesty diviene davvero un Minority Report, come nel film di Steven Spielberg. In un futuro dove il crimine viene combattuto prima che avvenga sulla base di percezioni extrasensoriali, c’è un “rapporto di minoranza” che le interpretata in maniera diversa. C’è sempre qualcuno, come Amnesty, che ha e ci dà una visione che pone l’essere umano al di sopra di ogni sospetto.

Per il download del documento di Amnesty clicca qui.

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Che ti possano...

«Se non dici la verità possano strangolarti gli amuleti attorno al collo, possa tu venire colpito da un proiettile, investito da un’auto, fulminato dall’elettricità…Possano essere assassinati tutti i membri della tua famiglia, possano morire in un disastro aereo”. Così, a quanto dicono, il primo ministro cambogiano Hun Sen avrebbe maledetto il premier thailandese Abhisit Vejjajiva. E’ accaduto dopo l’ennesimo scontro alla fontiera Thai-Cambogiana attorno al tempio di Preah Vihear, da secoli oggetto di culto e disputa per entrambi i paesi. Abhisit ha replicato con la flemma che gli deriva da una rigorosa educazione compiuta tra Eton e Oxford. Secondo alcuni, tuttavia, la sua sicurezza deriva da ben altro: il Luangpor Thuad M16.
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Che non è, come si potrebbe supporre dal nome, una versione thai del fucile d’assalto americano. Bensì un amuleto che dall’arma prende parte del nome (si racconta che un camionista che lo indossava non sia stato scalfito da una raffica di M16). Lo ha mostrato lo stesso Abhisit durante una conferenza stampa. A chi gli chiedeva se indossasse un giubbotto antiproiettile (in questo caso per proteggersi da attentati di oppositori locali) ha risposto aprendo la camicia e mostrando che il suo “scudo magico”, ossia dieci amuleti attorno al collo (di cui quello era il pezzo più pregiato). Il che spiega anche la prima delle maledizioni lanciate da Hun Sen.
Tutto ciò può far sorridere. Ma la magia, gli Spiriti, l’astrologia sono un elemento fondamentale per comprendere la politica asiatica. Il fenomeno in Thailandia è descritto in un breve saggio di Pasuk Phongpaichit e Chris Baker, due dei maggiori esperti di cultura thai contemporanea: “The spirits, the stars, and Thai politics”.
In questa parte di mondo, dove la reincarnazione è uno dei principi cardine delle religioni più diffuse (hinduismo e buddhismo) e dove sono ancora forti i culti animistici e degli antenati (collettivi o familiari), l’idea di una dimensione popolata da Spiriti transeunti, Entità immanenti la natura, qualche cosa che manifesti il sacro (le ierofanie del Trattato di storia delle religioni di Mircea Eliade) diviene reale.
Come non si può più parlare di religione quale sovrastruttura, altrettanto non si può definire la comprensione di altre religioni in termini di relativismo culturale.

Per scaricare il documento “The spirits, the stars, and Thai politics” clicca qui.

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Aspettando Merton

“Io, Signore Iddio, non ho nessuna idea di dove sto andando.
Non vedo la strada che mi sta davanti.
Non posso sapere con certezza dove andrò a finire.
Per la verità, non conosco neppure me stesso”…
E’ l’incipit di una preghiera di
Thomas Merton, monaco trappista, mistico, tra i primi a cercare una forma di comunione con il buddhismo. Morì durante un viaggio in Asia, a Bangkok, in occasione di un convegno inter-religioso sul monachesimo.
Andando sulle vie dell’Asia, spesso, si ricerca un nuovo Merton, qualcuno che ne incarni lo spirito.
Al simposio
Simposio Buddista-Cristiano che si è svolto nel centro di meditazione del Wat Phrathat Sri Chomthong Voravihar, un monastero di un villaggio vicino a Chiang Mai, nel nord della Thailandia, Merton non c’era.
C’era una folla di personaggi che ragionava e discuteva su “Dharma, compassione e Agape nel mondo contemporaneo (ossia sulla legge buddhista nel suo senso più ampio, sui diversi modi di interpretare e vivere la compassione e sullo spirito cristiano di comunione fraterna).
C’era una monaca cinese della scuola buddhista cha’n – la versione originaria e pura del giapponese Zen, come ha fatto notare con rigorosa dolcezza - che sottolineava la sottile differenza tra la compassine cristiana quale forma d’amore e quella buddhista come empatia.
Un vecchio buddhista thai che raccontava la vita di Gesù come una favola del villaggio, chiedendosi quanto dovesse aver sofferto per le maldicenze sul conto di sua madre (inevitabili dato il misetro della Sua nascita)
Un monaco Zen giapponese che illustrava i principi del governo etico prendendo a modello la dinastia Tokugawa, gli shogun che governarono il Giappone dal Seicento all’Ottocento, ipotizzando la possibilità della dittatura illuminata.
Un professore di economia italiano che dichiarava la felicità quale essenziale elemento da inserire nei programmi di sviluppo economico.
Un monaco cinese che analizzava la crisi finanziaria dal punto di vista del
Sutra del Loto, come fosse l’ennesima, implicita, dimostrazione della sofferenza insita nella vita
Una monaca cattolica compresa in uno stato di profonda
meditazione vipassana.
C’erano uomini e donne del
movimento cristiano dei Focolari, tra gli organizzatori del convegno, che ripetevano, come mantra: “lo scopo finale è che tutti siano uno”, “l’uniformità non è unicità”, “dare all’altro la possibilità di essere altro”
C’era un frate che commentava: “In Asia siamo lontani dall’idea di Dio, ma è forte l’idea della Morale”.
Alla fine, forse, c’era anche Merton. Almeno secondo le infinite, possibili interpretazioni del Sutra del Loto, secondo un’estensione mistica del
Principio di Indeterminazione. Forse c’era, insomma, ma passava dall’uno all’altro dei personaggi. Cercando ancora la Via.

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