Acqua e montagna

«Che cosa rappresenta?». Domanda stupida.
«Un paesaggio, come lo vedo io». Risposta gentile.
I quadri di Jean Cabane, s’intuisce, sono paesaggi. I luoghi di un pittore poeta francese che vive a Hoi An, in Vietnam. Passeggia tra mare e risaie e disegna ciò che vede come lo vede.
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Le sue opere, colorate con pigmenti naturali su carta di riso possono ricordare un haiku disegnato. Uno shanshui della tradizione cinese, un paesaggio. E non è superfluo notare che il termine paesaggio si rende in cinese con l’unione di due caratteri che indicano montagna, shan, e acqua, shui. L’estetica asiatica, che in Jean s’armonizza con l’imprinting genetico della sua Provenza, pone in risalto non tanto l’aspetto cognitivo quanto la comunicazione delle emozioni.
Lo so. E allora perché quella domanda tanto stupida?
Probabilmente perché è difficile sfuggire al desiderio di voler collocare, definire, inquadrare in coordinate mentali ciò che si avverte in maniera più sottile. E come se non riuscissi a fidarmi di me stesso.
In compenso, ripensando all’incontro con Cabane, con cui condivido qualche coincidenza ed esperienza di vita, mi sono reso conto che lo shanshui, il paesaggio, nella sua composizione di acqua e terra, mare e montagna, anzi foresta, è diventato lo scenario in cui mi muovo fisicamente e mentalmente, dove cerco idee di articoli, là dove si svolgono le trame dei racconti che dovrei scrivere.
Sono le storie dei monaci della foresta che seguo tra il nord-est della Thailandia e le montagne dello shan meridionale, in Birmania. Le storie di navi scomparse nel golfo di Thailandia o di quelle che battono le acque del Mar della Cina Meridionale, contendendosi isole, isolotti e scogli. Le storie di deviazioni e le digressioni da questi percorsi, con i momenti di quiete sulle spiagge deserte che chiudono la base di Cam Ranh, o i nimitti, le allucinazioni della meditazione, che innesca ansia e attacchi di panico.
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Muovendomi confusamente in questo paesaggio, tra monaci, archeologi e poeti, navi misteriose e minacciose, rovine e macerie, cerco la storia nelle storie.
Continuo a fare a me stesso la stessa, stupida domanda: “Che cosa rappresenta?”.
Ancora non ho il coraggio o la capacità di rispondermi: “Il paesaggio, come lo vedo”.
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